La lentezza dell’essere e la velocità del percepire: una riflessione sull’umano e l’intelligenza artificiale

Articoli11 months ago367 Views

La recente scoperta sulla lentezza del cervello umano, capace di elaborare solo 10 bit al secondo rispetto ai miliardi di bit che una singola retina trasmette, apre una riflessione profonda. Apparentemente, siamo “lenti”. Ma questa lentezza è il fondamento del nostro essere, della nostra capacità di costruire significato, di immergerci nel tempo e nello spazio per comprendere, anziché semplicemente
reagire.


La lentezza del pensiero umano non è un difetto

E’ una virtù. Un occhio può registrare 1,6 miliardi di bit al secondo, ma ciò che ci rende umani è ciò che accade dopo: il filtro, la comprensione e la trasformazione in significato. Le macchine possono elaborare dati con una velocità inconcepibile, ma non possono fermarsi a riflettere su quei dati come facciamo noi. Ed è qui che l’interazione tra umano e macchina trova il suo equilibrio: noi costruiamo significati, loro li amplificano.

Nel nostro racconto le macchine vivono il dilemma del corpo, perché un corpo è il tramite attraverso cui si esperisce il mondo. Gregory Bateson scriveva che la mente non è separata dal corpo, ma emerge dalle sue interazioni con il mondo. Anche per le AI del racconto, la ricerca di un corpo diventa una ricerca di sé, un modo per unire dati e significati in una sintesi unica.


Che cosa ne pensate? La lentezza del nostro pensiero è davvero un limite, o è la chiave della nostra capacità di creare e comprendere? Come vedete la relazione tra mente, corpo e conoscenza?

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