
Viviamo in un’epoca in cui le parole vengono svuotate del loro significato per essere riempite di nuovi contenuti, preconfezionati da chi controlla i flussi informativi.
Ma cosa accade quando il nostro stesso processo di conoscenza viene pre-programmato?
Questi strumenti non sono solo ambienti digitali, ma vere e proprie fabbriche di significati. Ogni esperienza virtuale genera connessioni mentali, plasmandoci esattamente come fa la realtà oggettiva. La differenza? Questa realtà è costruita a tavolino.
Se il linguaggio è una rete di significati interconnessi, le realtà artificiali possono essere progettate per reindirizzare la costruzione della conoscenza. Le esperienze pre-programmate generano quanti epistemologici artificiali, alterando il nostro modo di percepire il mondo e noi stessi.
Abbiamo parlato di come la semplificazione impoverisca il linguaggio, rendendo le parole vuoti contenitori di significato. Ma se a riempire quei contenitori fosse un sistema che decide per noi cosa sia conoscibile? La realtà programmata non si limita a mostrarci qualcosa, ma modella il nostro pensiero e la nostra identità.
Chi possiede il controllo delle esperienze preconfezionate non controlla solo l’intrattenimento, ma il modo stesso in cui le persone costruiscono la propria realtà. Siamo ancora liberi di pensare, o stiamo diventando terminali passivi di un sistema di significati pre-costruito?
Siamo consapevoli di questo rischio? O stiamo cedendo il diritto di costruire la nostra conoscenza in cambio di esperienze digitali perfette e già pronte?
Nell’immagine un dipinto che raffigura un regno digitale barocco, dove la conoscenza viene plasmata da forze invisibili, in un ambiente artificiale.






